Storie

Viaggiando ho imparato che io posso essere l’altro e l’altro può essere me

All’inferno e ritorno

di Luca Guzzo

Cracovia, incastonata nel cuore della Polonia, è una piccola città che si può visitare comodamente in un fine settimana lungo, magari approfittando di un ponte in qualunque stagione dell’anno. Ex capitale del Paese, è tuttora il principale centro culturale e artistico. Primo sito UNESCO d’Europa, è stata la prima città al mondo dichiarata patrimonio dell’umanità nel 1978.

 

Cosa affascina di Cracovia? Il maestoso Castello di Wawel, la vasta Piazza del Mercato con la sua splendida cattedrale, e il piccolo museo che custodisce la celebre Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci, opera che da sola giustifica il viaggio. Ma non finisce qui: il quartiere ebraico, ancora intatto, la Fabbrica di Schindler, l’industriale che salvò oltre mille ebrei dall’Olocausto, e tanto altro ancora sono tappe imperdibili.

 

Alla fine del soggiorno, potrebbe valere la pena dedicare una giornata a un’esperienza intensa e profondamente toccante: la visita a Oswiecim, raggiungibile in circa un’ora di bus o treno da Cracovia. 

 

Il tragitto attraversa la pianura polacca, punteggiata da campi coltivati, boschi e piccoli villaggi rurali. Un viaggio piacevole che, però, presto si trasformerà in qualcosa di molto diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare. 

 

Sarà un’esperienza che vi segnerà per sempre. Quando arriverete, non sarete più gli stessi.

Oswiecim è il nome polacco di Auschwitz. Qui visiterete i campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. Scenderete all’inferno. 

 

Lasciate che la vostra mente si liberi, perché ogni difesa sarà inutile: ciò che vedrete e sentirete vi travolgerà. 

 

Non voglio soffermarmi sui numeri, facilmente reperibili altrove. Desidero invece condividere le emozioni che ho provato durante quella fredda giornata di febbraio del 2020.

 

Sebbene sia possibile visitare il sito in autonomia (l’ingresso è gratuito), consiglio vivamente di prenotare una visita guidata. La guida offre spunti e dettagli che rendono l’esperienza ancora più significativa, anche se, in futuro, mi piacerebbe tornare da solo, magari con un’audioguida, per prendermi tutto il tempo necessario a riflettere e comprendere fino in fondo.

 

Auschwitz I, il primo campo, è familiare nelle sue immagini, viste infinite volte nei libri di storia, in televisione e nei film. Almeno all’inizio. L’ingresso e i viali ordinati tra i blocchi principali trasmettono un senso di normalità che presto svanisce. Entrando negli edifici dove sono raccolte le prove tangibili dello sterminio nazista, l’atmosfera cambia. 

 

I volti dei visitatori si fanno cupi, il silenzio è assoluto. Nessuno osa parlare, e ho notato come le persone evitassero persino di incrociare gli sguardi, forse per l’imbarazzo di non sapere come reagire o cosa dire.

 

L’angoscia cresce progressivamente, stanza dopo stanza, fino alle camere a gas e ai forni crematori.

 

Dopo la visita, il ritorno al visitor center sembra un tentativo di riprendersi, ma solo pochi riescono a mangiare o bere qualcosa. Qui si trovano souvenir che probabilmente non verranno mai esibiti una volta a casa. Eppure, serve come una pausa prima di affrontare il campo 2: Birkenau.

 

Birkenau si trova a soli tre chilometri da Auschwitz, ma la sua immensità è sconvolgente. Il lungo edificio con l’arco che accoglieva i convogli si nota da lontano, un’immagine che non dà tregua. 

 

I binari che tagliano il terreno sembrano lame, e senza sapere bene perché, ci si sente quasi costretti a non toccarli. 

 

Se Auschwitz rappresenta la morte, Birkenau è qualcosa di indescrivibile. Qui non c’era nemmeno la pretesa di lavorare per la libertà: si entrava, si subiva la selezione e si moriva, spesso nel giro di poche ore, in un processo crudele e “industriale”.

 

L’inferno è esistito davvero, e ha trovato spazio nella pianura del sud della Polonia, accuratamente nascosto da menti così malate che ancora oggi, a quasi ottant’anni di distanza, resta impossibile da comprendere appieno.

 

“Conoscere, comprendere, andare, toccare, e poi raccontare”: queste sono state le parole della nostra guida al termine della visita. 

 

E ci ha lanciato una sfida, in modo quasi provocatorio, soprattutto a noi italiani, considerati, a suo dire, “un popolo senza memoria”: raccontate a casa, agli amici, quello che avete visto, le sensazioni che avete provato, ed esortateli a venire qui.

 

Solo venendo qui si può comprendere.

 

Sfida accettata e completata amico mio…